sabato 30 luglio 2016

Brzezinski: “L’interesse nazionale dell’America” [U.S.A.]

dalla pagina http://it.sputniknews.com/opinioni/20160726/3202359/Brzezinski-usa.html

di Giulietto Chiesa
In sintesi: staccare la Russia dalla Cina, metterle l’una contro l’altra. E convincere quella delle due che ci starà a diventare un partner privilegiato degli USA.

Facile a dirsi, ma difficile da farsi. Eppure bisogna farlo, altrimenti l'alternativa che si para davanti agli Stati Uniti sarà secca e inevitabile: o perdere il proprio ruolo dominante nel mondo, o andare incontro a un "mutuo suicidio assicurato", cioè allo scontro strategico (nucleare e di altro tipo) con uno dei due antagonisti, o con entrambi.

Vecchio ma mai domo, Zbignew Brzezinski affronta di petto la situazione "catastrofica" in cui si trovano gli Stati Uniti d'America in un articolo che — come altri della sua carriera — è destinato a lunga fama. Pubblicato su "The American Interest", il saggio ha tutta l'aria di essere un consiglio per la signora Hillary Clinton, presidente americana prossima ventura. Ed è, come il solito, una brillante rassegna di crude verità, accompagnate da una totale improntitudine verso il resto del mondo.
Il "polacco" rimane convinto che l'America può fare quello che vuole, basta che decida. Certo, la situazione non è brillante: il problema è quello di individuare la giusta direzione. Ed essa si chiama "Verso un riallineamento globale" (Toward a Global Realignment"). Il titolo non lascia equivoci: riallineamento del mondo dietro gli Stati Uniti, che si potrà fare ponendo fine alla stagione del "Risveglio politico globale" ("Global Political Awakening").
Brzezinski cita il "se stesso" del 2008, che pubblicò sul New York Times un articolo altrettanto epocale, il cui scopo evidente era di "dare la linea" al presidente Barack Obama (NYT 2008, 12,16). Il quale la fece propria, con gli effetti davvero catastrofici che ora il mondo intero, insieme all'America, sta sperimentando. Il trucco che Brzezinski propose a Obama non era poi molto diverso da quello che egli propose di usare contro l'Unione Sovietica dei tempi dell'invasione dell'Afghanistan. L'America cominciava a barcollare? Il nemico diventava arrogante? Ebbene: diamogli il suo bel Vietnam e vediamo come se la cava. Per fare l'operazione era stato necessario inventare Al Quaeda e scatenare i fondamentalisti islamici allevati dall'Arabia Saudita. Funzionò alla perfezione. 
E funzionò perfettamente anche con l'11 settembre 2001, quando gli ex mujaheddin si trasformarono in comodi strumenti di copertura del "colpo di stato mondiale" che i neocon organizzarono per cementare l'intero Occidente attorno alla guida americana. Serviva a distrarre l'attenzione del mondo intero dal fatto — sempre più evidente — che la crisi non derivava dal nemico rosso (che ormai non c'era più), ed era tutta interna al meccanismo del cosiddetto Mercato occidentale. E dunque occorreva, al contempo, creare un altro "nemico mortale", l'"Islam". Seguirono l'Afghanistan, l'Irak, (più tardi la Libia, la Siria). Fu quello il "riallineamento" dell'epoca. Ma durò solo sette anni. Dopo i quali arrivò il crollo di Lehman Brothers, la crisi dei subprime, il fallimento di Wall Street e dell'immensa montagna di derivati di carta che l'America aveva disseminato in tutte le direzioni.
Con il "Global Political Awakening", Brzezinski (e il suo allievo Obama) prepararono un altro bel Vietman: questa volta all'Europa (e, di nuovo, alla Russia). Questa volta furono le "rivoluzioni colorate", dovunque possibile; furono le "primavere arabe"; furono i colpi di stato insufflati (incluso quello di Kiev del 2014, fino a quello di Ankara del 2016); fu (ed è) il terrorismo diffuso, capillare, organizzato (con l'apporto dei servizi segreti, a loro volta tutti controllati da quelli americani e dal Mossad, sempre in prima linea) e più o meno spontaneo; furono (e sono) le migrazioni di massa che si sono riversate sull'Europa, e che saranno intensificate; furono le massicce campagne di manipolazione dell'opinione pubblica, attraverso diffusione di notizie false; fu l'uso massiccio dei "metadata" accompagnato e integrato da quello dei social network, tutti monopolisticamente in mano agli Stati Uniti. Il "Global Political Awakening" fu, in sostanza, l'applicazione della teoria del Caos. Applicazione dedicata all'Europa.
Ma tutto questo — e bisogna dare atto a Brzezinski che sull'Europa ha funzionato — ha contagiato anche l'America. Il caos non è solo quello artificiale, prodotto verso l'esterno. E' anche il frutto velenoso del meccanismo impazzito che sono gli Stati Uniti stessi. Soprattutto non è riuscito a intaccare i nemici esterni. Russia e Cina sono ancora lì. E più passa il tempo, più appaiono in condizione di "creare improvvisamente le condizioni di rendere l'America militarmente inferiore".

Ed ecco riapparire Brzezinski con la sua nuova ricetta: il "riallineamento". Come detto sopra, qui non si parla dell'Europa. L'Europa è già dominata (o viene ritenuta tale). Obbedirà, con le buone o con le cattive. La pratica del caos organizzato, e ormai anche spontaneo, verrà, se necessario, intensificata. Il problema non è l'Europa: il problema è la Russia, che non si arrende. E la Cina, che continua la sua marcia imperterrita, nemmeno sfiorata dalla crisi dell'Occidente. Quale delle due scegliere come partner tattico? Qui Brzezinski perde la sua lucidità e oscilla incerto. La leadership americana, scrive, deve "contenere" entrambi, ma puntare a eliminare uno dei due. E il più probabile candidato "al momento è la Russia".

Solo che costringere alla resa la Russia non pare facile. Altrettanto non facile è trasformare la Cina in un partner affidabile. Che, nel presente momento, è come se un giovincello a bordo di una bicicletta si ponesse il compito di trascinare un elefante. E poi c'è il fattore tempo: "in prospettiva — scrive Brzezinski — potrebbe essere la Cina a divenire intrattabile". Che guaio!
Hillary Clinton, questa volta, viene lasciata nel dubbio. La ricetta di Brzezinski non è una ricetta. Ma sarà applicata: intensificazione del caos globale e concentrazione dell'offensiva contro la Russia.